La psicologia dello sport studia gli aspetti psicologici, sociali e psico-fisiologici dell’attività sportiva, al fine di individuare principi di funzionamento, modalità d’approccio e tecniche d’intervento che possano aiutare l’atleta a gestire al meglio l’approccio allo sport ed ottimizzare la sua performance.
L’attività sportiva coinvolge, infatti, non solo il corpo ma anche un aspetto mentale, che influenza l’efficacia del gesto motorio. In tal senso non basta allenare il corpo ma è necessario considerare anche la dimensione emotiva e cognitiva, ovvero ciò che l’atleta prova e pensa.
Avere talento nello sport è certamente un dono, ma questo può andare sprecato se non si è in grado di sfruttarlo al meglio. Molte squadre sono estremamente quotate “sulla carta”, ma non riescono a funzionare come gruppo e a raggiungere traguardi elevati, così come anche singoli atleti che hanno problemi di gestione dello stress e di ansia da prestazione possono non riuscire a dare il massimo durante le gare importanti. Le buone potenzialità fisiche non si traducono automaticamente in elevate prestazioni sportive; oltre all’allenamento fisico è necessario adottare specifici programmi per il potenziamento delle competenze emotive, cognitive e relazionali degli atleti (Steca et al. 2010).
Che si tratti di atleti professionisti o amatoriali, certi aspetti come lo stress e l’ansia, la motivazione, l’autostima, la leadership e la coesione (nel caso di sport di gruppo), la concentrazione e la determinazione sono aspetti da valutare e monitorare attentamente. Di questo si occupa la psicologia dello sport, non solo per migliorare la performance ma anche per fare in modo che lo sport sia fonte di benessere per la persona che lo pratica.
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Sapevate che…
Tra chi pratica attività sportiva a livello professionale, giocare in squadra è un fattore protettivo per la salute mentale: gli atleti individuali sono più inclini alla depressione rispetto a chi è membro di una squadra, come sostengono una serie di ricerche condotte dalla Technical University di Monaco (Germania). “Gli atleti individuali attribuiscono i fallimenti più a se stessi di quanto non facciano gli atleti di squadra” spiega Jürgen Beckmann, psicologo dello sport tra gli autori della ricerca. “In una squadra c’è diffusione di responsabilità”.