
Vorrei provare a fare un po’ di chiarezza su cosa significa oggi fare un lavoro psicologico su se stessi e, guardando la cosa dal mio punto di vista, offrire supporto psicologico alle persone. E vorrei farlo alla luce di questo periodo d’emergenza socio-sanitaria che stiamo vivendo. Contrariamente a quello che quasi un anno fa eravamo abituati a sentir dire ovunque, non è andato tutto bene. Anzi, ora che più che mai c’è bisogno di orientarsi in un momento di così grande confusione e provare a recuperare un minimo di lucidità di fronte ad un bombardamento psico-emotivo di massa che per intensità e forza persuasiva è ancora più imponente di quelli utilizzati dai regimi totalitari del passato.
Per di più, i disagi psicologici aumentano a dismisura tra la popolazione: secondo una ricerca condotta dall’Istituto francese Elma Research, il lockdown ha provocato disturbi psicologici nel 65% degli italiani, nel 63% dei britannici, nel 69% degli spagnoli e nel 50% dei tedeschi, con una media europea del 58%. Principalmente, le persone hanno lamentato difficoltà a dormire o risvegli notturni (19%), mancanza di energia o debolezza (16%), tristezza o voglia di piangere (15%), paure e timori eccessivi (14%), mancanza di interesse o piacere nel fare le cose (14%), panico e attacchi di ansia (10%). Detto più semplicemente, le persone si sentono più ansiose e impaurite, sconfortate e demoralizzate, impotenti e per questo arrabbiate con tutto e con tutti.
Parallelamente, numerose sono state le iniziative per dare supporto e aiuto psicologico alle persone. Ma cosa significa oggi dare supporto psicologico? Semplificando un po’ la questione, potremmo dire che l’aiuto psicologico consiste nell’aiutare la persona a diventare consapevole dei fattori interni e esterni che alimentano il suo disagio, potenziando la sua capacità di affrontare e gestire con atteggiamento positivo un evento o una situazione negativa (quella che, usando un termine oggi abusato, è definita come resilienza). Lo scopo, quindi, non è cambiare le cose ma il nostro modo di affrontarle, il nostro stesso sguardo sulle cose. Ogni cambiamento esteriore, infatti, si manifesta prima all’interno; il cambiamento interiore richiede, a sua volta, una presa di coscienza del contesto esterno e una chiara assunzione di responsabilità per ciò che davvero vogliamo. Senza consapevolezza, quindi, non può manifestarsi alcun cambiamento nelle nostre circostanze. Detto in altre parole, il supporto psicologico oggi più che mai non può prescindere da un’analisi del contesto esterno in cui ci muoviamo e delle situazioni in cui siamo direttamente coinvolti.
Pensiamo ad una donna maltrattata dal marito. Inizialmente, può darsi che, per salvare il suo matrimonio, provi a cambiare il suo atteggiamento sperando che anche il marito si ravveda e cambi il suo. A questo punto il marito potrebbe rassicurarla promettendole che cambierà e che vuole solo il suo bene. Se nonostante ciò il marito continua a maltrattarla, la moglie comincerà a rendersi conto che ogni suo tentativo di riequilibrare il suo rapporto è inutile e ha come unico effetto quello di farla sentire ancor più impotente e vittima della situazione.
A questo punto la donna si trova davanti a due strade: rassegnarsi a soffrire e sperare che le cose cambino da sole, oppure svegliarsi, diventare consapevole di cosa sta accadendo nel suo matrimonio e decidere di non farsi più maltrattare, liberandosi dalle grinfie del suo carnefice.
Ecco, oggi ci troviamo esattamente nella stessa situazione della donna maltrattata: l’unico modo per uscire dal disagio psicologico che ci attanaglia è quello di renderci conto che il nostro disagio è in buona parte causato dal contesto terroristico, oppressivo e alienante in cui ci troviamo a vivere e che non troveremo sollievo finché non ci sveglieremo da questa specie di “sonno della coscienza”.
Finché non ci sveglieremo e non ci renderemo conto che tutto quello che sta accadendo attorno a noi è studiato da una regia superiore per restringere a piccoli passi ma in misura sempre maggiore la nostra libertà personale e renderci schiavi di un sistema di controllo globale, continueremo ad affidare la nostra vita e la nostra sicurezza nelle mani del nostro carnefice.
Finché continueremo a credere alle promesse di salvezza e di un futuro migliore da parte di coloro che fino ad ora ci hanno maltrattato, continueremo a vivere nello sconforto e nella delusione.
E soprattutto, finché non ci renderemo conto che siamo noi a dare il permesso affinché tutto ciò che stiamo vivendo possa continuare ad accadere, continueremo a subirlo senza lamentarcene.
Solo svegliandoci e rendendoci conto che ci stiamo scavando la fossa con le nostre stesse mani potremo mettere fine a questo incubo.
La posta in gioco è alta, non potete immaginare quanto. Per farvelo capire, prenderò in prestito le parole di Noam Chomsky, eminente scienziato e accademico americano, che anni fa, con sguardo lungimirante, scriveva: “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.
E voi, come vi sentite se per un attimo immaginate di trovarvi al posto di quella rana?
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