
Recentemente il nostro Primo Ministro, per motivare le restrizioni presenti nell’ultimo dei suoi DPCM, ha detto: “Rinunciamo ad alcune libertà per preservare la salute”. In questa frase ci sono due concetti fondamentali, quello di libertà e quello di salute, collegati tra loro da un rapporto di proporzionalità indiretta, in modo tale che il diminuire delle libertà consentirebbe il miglioramento, o il mantenimento, di un buono stato di salute. Di conseguenza, sarebbe la maggior libertà a compromettere la nostra salute e, secondo tale logica, la salute sarebbe più importante della libertà.
Ognuno la pensi come vuole, ma secondo me – e non solo secondo me, visto che questa ipotesi è supportata da una mole di ricerche impressionante nel campo della neuropsicoendocrinoimmunologia – non esiste salute senza libertà.
Il nostro stato di salute, infatti, è legato al benessere del corpo, della mente e al contesto socio-relazionale in cui viviamo. Come dicono quelli bravi, la salute è un concetto olistico, inquadrabile all’interno di un paradigma di tipo bio-psico-sociale.
Immaginate di essere rinchiusi in una prigione senza poter mai uscire, magari senza poter parlare con nessuno; quanto pensate di mantenervi sani in una situazione del genere? Molto poco, ve lo dico io, e ve lo dicono anche i tanti studi sulla deprivazione sensoriale.
La libertà è una condizione primaria e inviolabile dell’uomo. La salute è prima di tutto un diritto, ma è anche una scelta, visto che non possiamo costringere nessuno a curarsi contro la sua volontà.
Le cose si ribaltano nel caso del T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio in ambito psichiatrico) col quale si priva la persona della sua libertà e si costringe a sottoporsi a delle cure mediche nel momento in cui, essendo in una condizione di incapacità d’intendere e di volere, il suo stato psichico è tale da mettere a rischio la salute e l’incolumità sua e degli altri.
Se però immaginiamo il caso di una persona con un problema fisico che si trova nel pieno possesso delle sue facoltà mentali (e quindi non può recare danno alcuno ad altri), costringerla a curarsi o a “tutelare” la sua salute contro la sua volontà sarebbe un atto di violenza, un attentato alla libertà di scelta e al diritto all’autodeterminazione. Per bypassare questo nodo e far ingoiare meglio il rospo dell’obbligatorietà della cura è stato quindi inventato il principio della “responsabilità sociale”, per far sentire in colpa le persone nel momento in cui non si sentono responsabili anche per la salute altrui. Una contraddizione in termini, poiché quello di responsabilità è un concetto individuale, che implica l’essere liberi di scegliere ciò di cui poi siamo chiamati a rispondere.
Sembrerebbe quindi che il principio espresso dai nostri politici, per cui la salute viene prima della libertà, sia un modo per traghettare la possibilità del T.S.O. anche nell’ambito della salute del corpo. Evidentemente ci considerano incapaci di intendere e di volere; in parole più semplici, degli stupidi (parafrasando, “siccome voi non siete in grado di tutelare la vostra salute e di capire cos’è giusto per voi, ve lo diciamo noi e ve lo imponiamo per il vostro bene“).
Detto ciò, c’è ancora un altro aspetto che ci dovrebbe far dubitare della bontà delle indicazioni dei nostri politici.
Affermano di volere tutelare la nostra salute, e in nome di questo limitano fortemente la nostra libertà. Perché allora, se sono così interessati al nostro benessere, lasciano aperte le tabaccherie (un esempio tra molti altri) consentendo la vendita di sigarette che sicuramente provocano un danno alla nostra salute, causando, solo in Italia, oltre 93.000 morti all’anno? (fonte: Ministero della Salute)
A questa domanda lascio rispondere voi, affinché possiate cominciare a valutare le cose con la vostra testa, facendovi anche un’idea di quanto ciò che viene detto corrisponde, nei fatti, a ciò che viene fatto.
tutela della salute, tutela della salute, tutela della salute
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