
Troppo spesso sentiamo parlare di incidenti e infortuni sul lavoro causati della mancata osservanza delle più elementari norme di sicurezza. E questo, nonostante la grande attenzione riservata alle questioni della sicurezza, alla grande quantità di formazione erogata in tale ambito e ad una normativa sempre più severa e stringente.
Il perché di questo fenomeno è da attribuire, secondo me, ad alcune rappresentazioni “miopi” sulla sicurezza, che derivano dalla normativa stessa e dalla sua giovane età (la Legge 626, primo testo in cui si parlava di sicurezza a scopo preventivo è solo del 1994) ma mettono in evidenza un problema ancor più ampio e profondo: la mancanza di una cultura della sicurezza.
Vediamole assieme:
- in primo luogo, la sicurezza è spesso considerata come un ambito d’intervento separato e indipendente dalle altre funzioni aziendali, come se, ad esempio, fosse possibile scindere totalmente gli aspetti relativi alla sicurezza dalla formazione, dalla gestione del personale o dalla gestione economico-finanziaria dell’azienda;
- secondo, la funzione di responsabile della sicurezza (RSPP) viene svolta, spesso, rosicchiando tempo qua e là all’orario lavorativo di persone che hanno altre mansioni all’interno dell’azienda, senza un riconoscimento ufficiale in termini di ruolo e di gratificazione economica.
Tutto ciò non fa altro che sminuire l’importanza della sicurezza agli occhi dei lavoratori stessi, trasmettendo un messaggio fortemente ambivalente e contraddittorio che porta le persone a chiedersi: “Perché se la sicurezza è tanto importante gli viene attribuito questo ruolo così marginale all’interno delle aziende?”.
Sicurezza come promozione del benessere sul lavoro
Altre rappresentazioni disfunzionali hanno invece a che fare con le modalità utilizzate per promuovere la sicurezza all’interno delle aziende. Un’idea molto comune, ad esempio, è che la sicurezza si debba occupare semplicemente di ridurre/eliminare il rischio di infortuni e malattie sul lavoro intervenendo sui fattori di rischio “oggettivi” (impiantistici, strutturali ecc.), indipendentemente dalla riduzione dei rischi psicosociali e dalla promozione del benessere all’interno dell’organizzazione. Troppo spesso, inoltre, si tende a privilegiare la dimensione normativa e prescrittiva della sicurezza, limitandosi a dire ciò che si deve o non si deve fare e pensando che la “punizione” possa fungere da deterrente per i comportamenti indesiderati.
Sicurezza e benessere in azienda
È evidente che in questo modo le persone non sono minimamente motivate ad assumere comportamenti di sicurezza. In primo luogo perché gli viene comunicato un messaggio del tipo “ciò che ci interessa non è il tuo benessere lavorativo ma solo il fatto che tu ti possa far male sul lavoro” (come se incidenti ed infortuni non fossero in alcun modo collegati al benessere che le persone vivono e sperimentano sul lavoro); secondo, perché un approccio basato esclusivamente sulla dimensione prescrittiva e punitiva non stimola in alcun modo l’assunzione di responsabilità ma favorisce un’adesione passiva alle regole e alle norme senza che se ne capisca davvero il senso e l’importanza. Adesione che poi, tra l’altro, è solo temporanea e viene meno nel lungo termine.
Inoltre, sappiamo tutti per esperienza personale che l’uso del potere coercitivo stimola nella persona una reazione (resistenza) di forza uguale e contraria. Concentrarsi unicamente su modalità prescrittive ha quindi come effetto quello di inasprire gli animi e favorire comportamenti oppositivi, che si ritorcono contro l’azienda stessa e rendono ancora più probabili infortuni e incidenti sul lavoro.
Prescrizione vs motivazione alla sicurezza
Come possiamo promuovere la sicurezza e il benessere in azienda? Personalmente, ritengo che l’unica modalità realmente efficace sia quella di costruire una cultura della sicurezza, utilizzando la motivazione come leva per far sì che siano le persone stesse a desiderare di assumere certi comportamenti e utilizzare certe precauzioni nello svolgimento del loro lavoro.
La motivazione, come spinta interiore a fare o a non fare qualcosa è infatti una forza potentissima, che parte dalle convinzioni interiori e dai valori in cui la persona crede. Più le persone credono in ciò che fanno, più è probabile che col loro comportamento riescano a trascinare anche gli altri, per una sorta di contagio emotivo e di imitazione.
In tal modo le convinzioni e i valori di pochi diventano, col tempo, le convinzioni e i valori di tanti. I valori e le convinzioni condivisi all’interno di un gruppo o di un’organizzazione costituiscono la cultura dominante di quel gruppo o di quell’organizzazione e ispirano e determinano i comportamenti delle persone che ne fanno parte.
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