
Nel suo saggio “Il Potere”, James Hillman, filosofo e psicoanalista americano, descrive le dinamiche del potere e la loro trasversalità evidenziando come, nella sua accezione corrente e più negativa, il potere poggia su due elementi fondamentali: il controllo assoluto delle condizioni e l’efficientismo delle operazioni.
In tal modo, un ordine che arriva dall’alto viene eseguito acriticamente dai subalterni, con l’unico scopo di perseguire l’efficienza, indipendentemente dalla bontà, dall’utilità e dalla sensatezza dell’ordine stesso.
Lo stesso principio che guidava l’agire di Franz Stangl, comandante del campo di sterminio nazista di Treblinka. La sua priorità era quella di portare a termine il “lavoro”, preoccupandosi che tutto filasse liscio; mai nessun interrogativo sul che cosa stesse facendo e sul perché lo stesse facendo. Tanto meno a chi. Il rispetto del principio dell’efficientismo impediva a Stangl di rendersi conto in cosa consistesse realmente il suo lavoro. Un poderoso meccanismo di negazione lo difendeva dalla sua stessa sensibilità. Una volta entrati in questo tipo di dinamica non ci si chiede più il senso di un ordine ricevuto ma ci si concentra solo sul portarlo a termine in modo efficiente.
“I più grandi crimini nel mondo non sono commessi dalle persone che infrangono le regole, ma da quelle che le seguono. Sono le persone che eseguono gli ordini che sganciano bombe e massacrano villaggi. Come precauzione per non commettere mai più importanti atti malvagi, è nostro dovere solenne di non fare quello che ci hanno detto, questo è l’unico modo in cui possiamo essere sicuri.”
Banksy
L’attenzione prioritaria alla causa efficiente fa perdere di vista ogni contatto con la realtà. Il potere, quindi, nella sua espressione più bieca, mira proprio a questo, ad assicurare l’efficienza del sistema senza alcun riguardo al senso e alle conseguenze di ciò che si sta facendo. Così, in nome di tale efficienza, il fare qualcosa diventa, come dice Hillman, la piena giustificazione del fare, indipendentemente da ciò che si fa.
È sempre in nome dell’efficienza e di un cattivo esercizio del potere che, recentemente, in più occasioni le forze dell’ordine hanno multato delle persone, applicando rigidamente un protocollo senza farsi alcuna domanda sul senso e sull’opportunità di ciò che stavano facendo. Naturalmente stavano eseguendo degli ordini e non avrebbe senso criminalizzarli per questo. Tuttavia, quello che è successo deve servirci da monito per capire quanto sia importante, soprattutto in un momento così difficile, non perdere di vista l’umanità e la sensibilità che ci contraddistinguono. Evitare di cedere al principio dell’efficientismo, che ci rende macchine, esecutori passivi di ordini anonimi, e tornare invece a chiedersi se ciò che stiamo facendo è davvero necessario e funzionale a svolgere al meglio il nostro ruolo di tutori dell’ordine pubblico e se, in qualche misura, tiene conto della persona che abbiamo di fronte. Diversamente, rischiamo di lasciarci prendere la mano e diventare dei controllori controllati da quella stessa sensazione di potere che possiamo sperimentare nell’esercizio delle nostre funzioni; pagando però come prezzo quello dell’insensibilità, non solo nei confronti degli altri, ma anche di noi stessi. Ricordarci chi siamo ci salverà.
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