
I neuroni specchio
Una delle scoperte più rilevanti della psicologia è che per imparare a fare qualcosa non importa che la facciamo direttamente ma basta vederla fare da qualcun altro. Questo apprendimento “per imitazione” è reso possibile dal fatto che nel cervello di chi osserva si producono le stesse modifiche riscontrabili nel cervello di chi l’azione la compie davvero. I responsabili di questo fenomeno sono i neuroni specchio, scoperti casualmente tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma1. I ricercatori collocarono degli elettrodi nella corteccia premotoria di un macaco per studiare i neuroni specializzati nel controllo dei movimenti della mano e si accorsero che quando lo sperimentatore prese una banana da un cesto di frutta preparato per gli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena reagirono. Come poteva essere accaduto, se la scimmia non si era mossa? In un primo momento gli sperimentatori pensarono si trattasse di un guasto nella strumentazione, ma la cosa si ripeté nuovamente.
Nel 1995 fu provata l’esistenza nell’uomo di un sistema di neuroni specchio simile a quello trovato nella scimmia (Rizzolatti et al., 1996), cosa confermata anche da studi successivi, fatti utilizzando tecniche di indagine del cervello più sofisticate (Gallese et al., 2004; Rizzolatti e Craighero, 2004; Keyser e Gazzola, 2009).
Quando vedere significa apprendere
I neuroni specchio sono neuroni motori, che si attivano involontariamente quando facciamo un’azione ma anche quando la stessa azione la vediamo fare da qualcun altro.
Esperimenti più recenti hanno evidenziato la presenza di neuroni specchio anche in altre aree del cervello, comprese quelle deputate all’analisi e all’espressione delle emozioni, ipotizzando un loro coinvolgimento non solo nell’esecuzione dei movimenti ma anche nella comprensione delle emozioni e delle interazioni sociali.
Esiste quindi un meccanismo neuro-biologico che è al servizio dell’evoluzione e che, attraverso un processo di imitazione, permette lo sviluppo di competenze motorie, linguistiche ed affettive. Tradotto, il nostro cervello apprende continuamente da ciò che fa e da ciò che vede.
La realtà del processo immaginativo
Ma c’è altro. I neuroni specchio si attivano non solo quando la persona compie un’azione o quando la osserva ma anche quando la immagina.
Come ci fa notare Marc Jeannerod, neuroscienziato di fama internazionale, fare un gesto, osservarlo o immaginarlo attivano le stesse aree cerebrali. Via via che ci addentriamo alla scoperta delle peculiarità del nostro cervello ci accorgiamo così che il confine tra ciò che chiamiamo “reale” e il mondo immaginario e immaginato è molto meno netto di quanto si potrebbe pensare.
Questo aspetto è stato messo in evidenza già negli anni ‘50 del secolo scorso da W. Penfield, un neurochirurgo del Montreal Neurological Institute, il quale, stimolando per errore una zona della corteccia temporale durante un’operazione, fece rivivere alla sua paziente un episodio traumatico del suo passato, che aveva quasi completamente rimosso. Come disse la paziente stessa, che era rimasta sveglia durante l’intervento, non si trattò di un semplice ricordo ma di un rivivere quell’episodio come se fosse reale e si stesse svolgendo adesso, tanto erano intense e vivide le sensazioni che provava.
Vittorio Gallese, uno dei componenti del team a cui si deve la scoperta dei neuroni specchio, si spinge oltre e, nel suo libro “Lo specchio empatico” afferma che vedere e immaginare di vedere, agire e immaginare di agire o esperire un’emozione e immaginarsela sono processi sovrapponibili poiché condividono circuiti cerebrali quasi identici, tanto più quanto il processo immaginativo è vivido e realistico.
Il nostro cervello, quindi, cambia e si modifica – a livello biochimico, strutturale e funzionale – non solo ogni volta che facciamo qualcosa, ma anche ogni volta che vediamo o immaginiamo qualcosa.
Vedere è per tutti noi un’operazione scontata, quasi ovvia; lo facciamo e basta. Ma che dire, invece, dell’immaginazione? Immaginare significa vedere con gli occhi della mente o sentire qualcosa che non è fisicamente presente. L’immaginazione è il linguaggio primario della nostra mente; noi, infatti, pensiamo per immagini e dietro ad ogni pensiero che facciamo c’è sempre un’immagine che lo rappresenta e lo descrive in termini figurativi. Se vi chiedessi di pensare ad un cane, la prima cosa che vi verrebbe alla mente è l’immagine di un certo tipo di cane. Se vi chiedessi di pensare a cosa avete mangiato oggi scommetto che nella vostra mente apparirebbero per prima cosa delle immagini dei piatti, e se ci pensate intensamente potreste quasi sentirne il profumo e il sapore, vero o no?
Immaginare è creare
Detto questo, dobbiamo cominciare a riflettere seriamente sul fatto che ogni volta che vediamo o immaginiamo qualcosa stiamo modificando il nostro cervello e creando la nostra realtà, che ne siamo consapevoli o meno. Facciamo un esempio concreto. Ogni volta che guardiamo la TV il nostro cervello reagisce alle notizie che ascoltiamo traducendole in immagini mentali (ricordiamoci, infatti, che la nostra mente lavora per immagini e dietro ad ogni pensiero c’è sempre un’immagine) e producendo una serie di sostanze chimiche che si diffondono in tutto il corpo, “intristendolo”, agitandolo o impaurendolo, a seconda del contenuto delle notizie e delle immagini evocate. Paura, depressione, ansia o senso d’impotenza prendono così il sopravvento e rischiamo di lasciarci andare alla spirale dei pensieri negativi e alla mancanza di prospettive future, rinchiudendoci in noi stessi e limitando il nostro raggio d’azione socio-relazionale. La continua esposizione a certe notizie negative fa sì che le immagini si imprimano sempre più profondamente nella nostra mente e riemergano con più facilità anche in altri momenti della giornata, o in situazioni di particolare debolezza, riattivando le stesse emozioni negative e innescando un circolo vizioso che, nel tempo, compromette il nostro equilibrio psico-fisico e apre la strada alla malattia. Possiamo quindi dire che i pensieri e le immagini condizionano la nostra vita e determinano il nostro destino.
Oltre alle immagini mentali “indotte” dall’esterno, va anche detto che ognuno di noi ha la possibilità di creare nella sua mente le immagini che desidera. La buona notizia, quindi, è che attraverso le immagini mentali abbiamo il potere di creare la realtà che desideriamo.
Naturalmente, la forza “creatrice” delle immagini mentali dipende dalla frequenza con cui le ripetiamo e dalla loro vividezza, ovvero da quanto oltre agli stimoli visivi le nostre immagini coinvolgono anche altri aspetti sensoriali (cinestesici, tattili, olfattivi, uditivi e gustativi) e psicologici. Lo sanno bene gli sportivi professionisti che, nella preparazione di una gara, utilizzano spesso tecniche immaginative basate sulla ripetizione mentale del gesto atletico, ricreando anche una sensazione di fluidità e di soddisfazione per la perfetta esecuzione del gesto stesso. Questo perché l’immagine si imprime nello spazio mentale come un’istantanea su un rullino fotografico, e più viene ripetuta più la sua traccia tende a consolidarsi, acquistando consistenza e realtà ed influenzando non solo il nostro corpo, ma anche la nostra vita e le nostre circostanze.
A questo punto vi chiederete: com’è possibile, che un evento immateriale come un pensiero o un’immagine mentale acquisti una consistenza materiale? Detto in altre parole, come accade il passaggio dalla non-materia alla materia? Per rispondere a questo interrogativo dovremo addentrarci (e lo faremo nel prossimo post) in una zona di confine tra i territori della biologia, della chimica e della fisica quantistica.
1. Di Pellegrino G., Fadiga L., Fogassi L., Gallese V. & Rizzolatti G. (1992) Understanding motor events: a neurophysiological study. Experimental Brain Research, 91, 176-180.
Vittime o artefici del nostro destino? – parte 1ª
Vittime o artefici del nostro destino? – parte 3ª
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