
Tra i temi d’attualità più gettonati, spicca quello dell’integrazione e del rispetto della diversità, che merita una riflessione più attenta. Senza entrare nel merito delle questioni politiche, che spesso si fermano alla superficie delle cose e fanno riferimento a slogan ispirati a principi etico-morali o di opportunità/opportunismo, vorrei affrontare la cosa da un punto di vista psicologico, cercando di individuare il principio generale che regola lo sviluppo di quella competenza che ha a che fare con la percezione di sé, dell’altro e dell’incontro tra queste due istanze.
Il punto centrale di tutta la questione è che in natura tutto procede da uno stato d’indifferenziazione verso la differenziazione. Questo è vero in biologia ma anche in psicologia. Nel bambino piccolo, ad esempio, il senso di sé non è definito; parla di sé in terza persona e non fa differenza tra sé e la madre con cui si sente una cosa sola. Poi emerge la consapevolezza di sé e dei propri confini (corporei e psicologici) e inizia a percepire anche l’altro come entità separata. Ne deriva che la consapevolezza di sé e della propria identità è condizione necessaria per aprirsi agli altri. Con queste premesse, l’idea di dover rinunciare ai criteri fondanti della propria identità in nome dell’accoglienza dell’altro appare quantomeno priva di senso e contraria a qualsiasi criterio di evoluzione psicologica e di sana convivenza sociale.
Anzi, dobbiamo cominciare ad ammettere che il rispetto dell’altro – dal latino re-spicere, ri-guardare, guardare di nuovo – è possibile solo nella misura in cui rispettiamo prima noi stessi. Riconoscere chi siamo e difendere la propria identità significa potersi aprire anche alla diversità degli altri.
Ma il buon senso e la capacità di vedere le cose così come sono, lo sappiamo, non sono prerogative di questo tempo. I continui appelli al buonismo e i moralismi di bassa lega provano ad imporci una visione di società dove ognuno dovrebbe fare spazio ad altri rinunciando a se stesso: ma se rinuncio a me stesso non mi riconosco più e, di conseguenza, non posso riconoscere (rispettare) nemmeno chi mi sta di fronte.
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