
La forza della convinzione
Negli articoli precedenti ho sostenuto l’ipotesi, provando anche ad argomentarla, che non siamo vittime degli eventi ma che, in ogni istante, i nostri pensieri e le nostre convinzioni modificano il nostro stato di salute e le nostre circostanze, che ne siamo consapevoli o meno.
Un ulteriore argomento che vorrei proporre a sostegno di questa tesi è l’effetto placebo, un meccanismo psicologico scoperto verso la metà del secolo scorso nell’ambito degli studi scientifici condotti per studiare l’efficacia dei farmaci.
Un po’ di storia
La prima verifica attendibile del potere dell’effetto placebo risale al 1950, quando un ricercatore della Cornell University1 dimostrò la capacità del placebo di invertire gli effetti di un farmaco attivo. Somministrando un farmaco capace di indurre nausea e vomito ad una donna che aveva vomitato continuamente negli ultimi due giorni – dicendole però che stava assumendo un potente farmaco antinausea – si assisté ad una cessazione immediata della nausea e del vomito.
Una valutazione fisiologica effettuata con apposita strumentazione dimostrò che alla cessazione della nausea e del vomito corrispondeva anche una effettiva ripresa della normale motilità gastrica. L’effetto placebo, quindi, o per meglio dire l’inibizione degli effetti del farmaco, non riguardava solo la mente della paziente ma anche il suo corpo.
Col tempo si è anche visto che la risposta ad un placebo varia da persona a persona e dipende sostanzialmente da quanto la persona è convinta della reale efficacia della sostanza che sta assumendo. Non a caso la chirurgia è il placebo più potente, perché più di tutti gli altri interventi medici è in grado di suscitare aspettative di efficacia e di risoluzione di un problema.
Molteplici studi hanno dimostrato che pazienti sottoposti a interventi chirurgici placebo alle ginocchia e alle coronarie (ovvero interventi fittizi, senza una reale azione chirurgica), percepivano un miglioramento nella loro sintomatologia nell’83% dei casi, mentre solo il 73% di coloro che avevano subito realmente l’intervento percepivano un miglioramento significativo nei loro sintomi 2-3.
L’effetto placebo, quindi è l’effetto positivo che si manifesta a livello clinico su un paziente a seguito della somministrazione di una sostanza farmacologicamente inattiva o di un trattamento medico senza alcuna efficacia terapeutica.
Sarebbe però inesatto definire l’effetto placebo una prova del fatto che la mente influenza il corpo. Meglio dire che mente e corpo sono una cosa sola e che ogni nostra esperienza soggettiva – ciò che sentiamo attraverso i sensi, ciò che pensiamo e proviamo a livello emotivo – ha un substrato fisico, riconducibile a cambiamenti che avvengono nell’attività del nostro cervello; ma anche che ogni cambiamento a livello cerebrale cambia la nostra esperienza soggettiva (cosa evidente nel caso di lesioni cerebrali), e che esperienze soggettive diverse coinvolgono aree diverse del cervello. Il placebo, quindi, cambia contemporaneamente l’esperienza soggettiva della persona e l’attività del suo cervello.
Placebo vs nocebo
Uno degli studi più affascinanti sull’effetto placebo e sul corrispondente effetto nocebo (dicesi effetto nocebo quando una sostanza placebo è in grado di determinare degli effetti negativi sulla salute di una persona) è stato condotto alla Yale University4. I ricercatori invitarono degli studenti che soffrivano d’insonnia a partecipare a uno studio che, ufficialmente, avrebbe indagato gli effetti dell’attività fisica sul sonno.
Ad alcuni studenti, prima di andare a letto venne data una pillola placebo mentre ad altri, facenti parte del gruppo di controllo, non venne data alcuna pillola. Quelli che assunsero il placebo, avevano però ricevuto informazioni diverse: metà di loro sapeva di assumere una pillola eccitante, l’altra metà era convinta che la pillola li avrebbe rilassati.
I risultati furono sorprendenti. Coloro che erano convinti di aver preso la pillola eccitante si addormentarono prima di quelli che credevano di aver preso quella rilassante. I ricercatori spiegarono questi risultati ipotizzando che coloro che soffrono d’insonnia tendono ad incolparsi per il fatto di non dormire, attribuendolo ad una loro personale inadeguatezza, cosa che ovviamente li rende ancora più tesi a livello emotivo e aumenta la loro difficoltà ad addormentarsi. Il fatto di assumere una pillola “eccitante” sgraverebbe quindi le persone dal peso di essere loro la causa del loro problema: “non sono io la causa della mia insonnia ma il fatto che ho assunto una pillola eccitante”. Ed è questo il motivo per cui riescono ad addormentarsi più facilmente.
Coloro che invece hanno assunto la pillola “rilassante” fanno ancora più fatica ad addormentarsi perché questa convinzione intensifica l”idea di essere la causa del loro problema. Come se si dicessero: “Se non dormo nemmeno con un tranquillante devo proprio essere ridotto male…”.
Il caso della depressione
In uno studio fatto per indagare se i placebo fossero in grado di modificare il cervello H. Mayberg5 chiese a dei volontari di pensare prima a qualche loro esperienza personale che fosse molto triste, e poi, subito dopo, ad un ricordo emotivamente neutro, esaminando, nel frattempo, la loro attività cerebrale attraverso uno scanner PET. Quando i soggetti ricordavano le esperienze tristi, le aree del loro sistema limbico risultavano più attive.
Successivamente, in una seconda fase dell’esperimento, i ricercatori scannerizzarono il cervello di alcuni pazienti depressi prima che iniziassero un trattamento farmacologico e dopo 6 settimane di trattamento col Prozac. Metà dei pazienti risposero positivamente al trattamento e metà no. Tra i responders, inoltre, – ovvero coloro che avevano risposto positivamente al trattamento antidepressivo – si osservò una diminuzione dell’attività del sistema libico.
Le conclusioni di questo studio furono le seguenti: che la depressione era correlata con una maggiore attivazione a livello del sistema limbico e che tale attività diminuiva al diminuire dei sintomi depressivi. Ma non basta. I ricercatori scoprirono anche che la diminuzione dell’attività del sistema limbico – e quindi la diminuzione della sintomatologia depressiva – non era dovuta al Prozac; infatti, solo metà dei pazienti trattati con successo per la depressione avevano realmente assunto il Prozac, mentre all’altra metà dei pazienti “guariti” era stato somministrato un placebo.
Mente, cervello e corpo
Se è vero che il placebo – e quindi la mente – modifica il cervello, ci sono dati che confermano l’ipotesi che il placebo possa, attraverso il cervello, influenzare anche il resto del corpo. Yujiro Ikemi e Shuji Nakagawa, due ricercatori giapponesi, pubblicarono uno studio dimostrando che la suggestione poteva sia provocare che inibire la dermatite da contatto6.
Presero 13 ragazzi ipersensibili ad una sostanza vegetale e gli strusciarono su un braccio una sostanza innocua, dicendo loro che si trattava di una sostanza per loro “velenosa”. Sull’altro braccio strusciarono invece una sostanza “velenosa” dicendo loro che la sostanza era innocua. Ebbene, tutti i ragazzi mostrarono una reazione cutanea alle sostanza innocua, reazione che fu grave in undici di loro, mentre solo due dei 13 ragazzi reagirono alla vera sostanza velenosa.
Uno dei casi più controversi per quel che riguarda l’influenza dei fattori psicologici sul corpo, anche perché si trattava di un singolo paziente e questo rendeva difficile trarre delle conclusioni valide nella generalità dei casi, fu il caso del “Signor Wright”, un paziente malato di cancro che ricevette notevoli benefici dal trattamento con un placebo7.
Il paziente aveva tumori della dimensione di un’arancia alle ascelle, collo, inguine e addome, con un’aspettativa di vita di due settimane. Avendo sentito di un farmaco sperimentale molto promettente chiese al suo medico di essere incluso nello studio clinico; dopo pochi giorni dall’assunzione del farmaco i tumori si dimezzarono di volume e sparirono nel giro di una decina di giorni. Quando però i medici diffusero la notizia dell’inefficacia di quel farmaco i tumori del signor Wright ricomparvero in breve tempo. Il medico, allora, disse al paziente che forse poteva esserci un altro farmaco ancora più potente, e il paziente accettò di sottoporsi a questo ulteriore trattamento, senza però sapere che gli sarebbe stato somministrato un placebo. Ebbene, le masse tumorali si “sciolsero” ancor più radicalmente rispetto al trattamento precedente col farmaco vero. Quando però, tempo dopo, fu divulgata la notizia secondo cui il farmaco che credeva di assumere era in realtà privo di qualunque effetto terapeutico, il Signor Wright morì dopo pochi giorni.
In sintesi
È ampiamente dimostrato che i placebo hanno un impatto positivo su svariate patologie come ansia e depressione, dolore, ulcere, sindromi gastro-intestinali, angina e problemi cardiovascolari, malattie autoimmuni, artrite reumatoide, Parkinson e demenza, asma, disfunzioni sessuali e problemi dermatologici8.
Com’è possibile, però, che una sostanza chimicamente inattiva provochi degli effetti così specifici ed osservabili sul corpo? Il meccanismo d’azione del placebo risiede nella mente, o meglio nelle convinzioni, nelle aspettative che le persone hanno rispetto alla sostanza che stanno assumendo. Questo è vero nel bene e nel male; tant’è che assumendo un placebo le persone lamentano anche gli stessi effetti collaterali del farmaco reale.
In poche parole, si manifesta sempre quello che pensiamo e di cui siamo convinti.
Le convinzioni e le aspettative dipendono poi, a loro volta, dalle esperienze che facciamo e da quanto esse ci condizionano. Ad esempio, se tutte le volte che ho preso un sonnifero – farmaco o placebo che sia – mi sono addormentato, allora la convinzione che ciò possa di nuovo accadere si rinforza, e la sola idea di prendere una pillola mi farà addormentare più facilmente. In tal senso, la pillola è semplicemente uno strumento che agisce sulla nostra convinzione, innescando l’effetto placebo.
Detto questo, vi piacerebbe riuscire a beneficiare degli effetti positivi dell’effetto placebo senza dover assumere una pillola, farmaco o placebo che sia? Ovvero, possiamo influenzare coscientemente la nostra convinzione in modo da sfruttare appieno l’effetto placebo senza dover ricorrere ad alcuna sostanza esterna? La risposta è sì; a patto che iniziamo ad accettare questa nostra potenzialità e il fatto di essere davvero responsabili di noi stessi e della nostra salute.
- Wolf S.., “Effect of Suggestion and Conditioning on the action of Chemical Agents in Human Subjects – the Pharmacology of Placebos”, Journal of Clinical Investigation, 1950;
- Cobb L. et al., “An Evaluation of Internal-Mammary Artery Ligation by a Double Blind Technique”, New England Journal of Medicine, 1959;
- Wray N. P.., Moseley J.B.., O’Malley K., “Arthroscopic Surgery for Osteoarthritis of the Knee”, New England Journal of Medicine, 2002;
- Storms M. D. e Nisbett R. E., “Insomnia and the Attribution Process”, Journal of Personality and Social Psychology, 1970;
- Mayberg H. S., Liotti M. et al., “Reciprocal Limbic-Cortical Function and Negative Mood: Converging Pet Findings in Depression and Normal Sadness”, American Journal of Psychiatry , 1999;
- Ikemi Y. e Nakagawa S., “A Psychosomatic Study of Contagious Dermatitis”, Kyoshu Journal of Medical Science, 1962;
- Klopfer B., “Psychological Variables in Human Cancer”, Journal of Projective Techniques, 1957;
- Kirsch I., “Placebo: the Role of Expectancies in the Generation and Alleviation of Illness”, in The Power of Belief: Psychosocial Influence on Illness; Disability and Medicine, Oxford University Press, 2006;
Vittime o artefici del nostro destino? – parte 5ª
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