La sexual addictions o sesso compulsivo o dipendenza sessuale è un costrutto teorico che comprende diversi tipi di comportamento sessuale, come l’utilizzo ricorrente della pornografia, il cybersex, le frequentazioni assidue degli strip-club, il sesso telefonico, le relazioni amorose compulsive multiple, il sesso compulsivo all’interno di una relazione o con più partner, la masturbazione compulsiva. Tuttavia, non è un disturbo chiaramente riconosciuto dalla nosologia psichiatrica e non è stata inclusa all’interno della versione più recente del DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). Tra gli esperti, infatti, c’è ancora un acceso dibattito sul fatto di poterla collocare all’interno del disturbo ossessivo-compulsivo o del disturbo del controllo degli impulsi.
Dinamiche alla base della dipendenza sessuale
Come raccontano molti ex, usciti dal tunnel della dipendenza, consumare un rapporto sessuale era diventato il modo di tenere a bada ansia, paura e frustrazione. Come una sorta di medicina, per cercare un po’ di tranquillità, per mettere a tacere rabbia, disperazione, depressione e insoddisfazione. Recentemente alcuni autori hanno messo in evidenza elementi che accomunerebbero dipendenti sessuali e narcisisti: entrambi tendono a promuovere un’apparente relazione con l’altro, presentano bassi livelli di autostima ed empatia e utilizzano la sessualizzazione per difendersi dalle emozioni e dalle relazioni stesse, nel tentativo di fronteggiare così sentimenti di frammentazione del sé, associati con la “ferita narcisistica”.
Come fare una diagnosi
In Italia si stima che il 5,8% della popolazione soffra di questa dipendenza; dati simili a quelli internazionali che parlano di una forbice dal 3% al 6% con una prevalenza nel sesso maschile. La colpa di questa diffusione sarebbe da attribuire ai nuovi media, alla più recente rivoluzione digitale, che ha reso accessibile a tutti, in tv e su internet, materiale a luci rosse, prima relegato negli angoli di videoteche, edicole e biblioteche e circondato da un alone di “imbarazzo sociale”.
Per fare diagnosi, questa condizione si deve manifestare per almeno 6 mesi e provocare un forte disagio o una compromissione significativa in ambito personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o in altri importanti settori di funzionamento. Un passo avanti per i clinici che si occupano di salute mentale e per l’individuazione di protocolli condivisi per il trattamento di questo disturbo con una più efficace ricaduta sulla vita dei pazienti.