
Quando la forma è anche sostanza
Il nostro pensiero non solo modifica il nostro corpo ma crea la nostra realtà. In qualche modo, il pensiero si proietta fuori di noi e dà forma alla nostra vita e a tutto quello che ci accade.
Per spiegare come ciò sia possibile, partiremo dagli studi naturalistici di Rupert Sheldrake, biologo e saggista inglese, già professore a Cambridge e membro della Royal Society, che negli anni ‘80 si dedicò allo studio della forma degli esseri viventi cercando di capire come riuscissero ad assumere determinate forme fisiche proprie della loro specie. La domanda che Sheldrake si pose era la seguente: come possono le cellule organizzarsi in forme particolari fino a dar vita a differenti organismi?
I biologi molecolari risposero a tale domanda tirando in causa il DNA, dato che esso contiene tutte le informazioni grazie alle quali un intero organismo può essere costruito.
Tuttavia, se il DNA contiene le istruzioni per costruire le singole proteine, esso non spiega il modo in cui queste proteine si aggregano ed assumono determinate forme. Inoltre, non spiega perché, ad esempio, una cellula diventi una cellula di foglia e un’altra una cellula di gambo, dato che entrambe contengono il medesimo DNA. E poi, cos’è che controlla la forma di oggetti inanimati come i cristalli o le rocce, visto che sono privi di DNA?
La risposta, ormai accettata a livello scientifico, è che deve esistere qualcosa di ancora più profondo del DNA che orienta e controlla la configurazione della materia; è qui che Sheldrake propone, in linea con la fisica contemporanea, la teoria dei campi morfici o campo morfogenetico (dal greco morphé, forma, e genesis, origine), un campo energetico invisibile fatto di informazioni che controllano ed indirizzano il programma genetico del DNA, dando forma alla materia. Stiamo parlando di una sorta di coscienza o, per dirla con R. Steiner, di un’“anima di gruppo” che ritroviamo in tutti i sistemi biologici viventi (uomo, animali e piante) ma anche nella materia inorganica e che agisce come intelligenza nascosta.
Il luogo dove tutto è possibile
Secondo la teoria dei campi morfici, il motivo per cui una cellula diventa una cellula di foglia e non una cellula di gambo è perché si sintonizza, per così dire, attraverso la risonanza morfica, con i campi morfogenetici di tutte le foglie precedenti della stessa specie.
In tal senso i campi morfici sono l’accumulo di tutte le informazioni passate relative alle foglie e contengono le informazioni per far sì che le nuove cellule vegetali possano diventare cellule di foglia.
Inoltre, i campi esistono in una scala gerarchica: ogni atomo del nostro corpo, ad esempio, possiede un proprio campo morfogenetico, che è contenuto nel campo morfico della cellula che va a costituire; quest’ultimo, a sua volta, confluisce nel campo morfico dell’organo di riferimento e poi dell’apparato corrispondente, fino ad arrivare al campo morfico del corpo stesso e dell’individuo nella sua complessità psico-fisica. Il campo morfico di ogni individuo è parte integrante del campo del sistema sociale in cui vive, e questo confluisce nel campo del sistema umano, facente parte a sua volta di Gaia, del sistema solare, della galassia e così via. Perché tutto è collegato, e qualsiasi cosa accade a livello microscopico si ripercuote in tutto il cosmo.
Va da sé, come afferma lo stesso Sheldrake, che questi campi morfici non sono effettivamente memorizzati nel cervello, ma nell’ambiente circostante (nel linguaggio informatico potremmo dire “in the cloud”), in un campo di informazioni al quale si può accedere mediante il cervello, usato come se fosse un’antenna di sintonizzazione.
Qualcosa di simile al concetto di campo morfogenetico è stato ipotizzato anche da Ervin Laszlo, filosofo della scienza e candidato al premio Nobel, che ha elaborato la sua teoria del campo akashico.
Biologia e psicologia
I campi morfici non riguardano solo la materia, ma anche la percezione, il comportamento e l’attività mentale umana; in tal senso rappresentano una sorta di memoria cumulativa, che influenza la formazione delle nostre abitudini comportamentali e di pensiero.
Faccio un esempio. Quando un certo numero di individui fanno o pensano una stessa cosa abbastanza a lungo si crea un campo morfogenetico sempre più potente, e grazie all’effetto di risonanza quella cosa si trasmette e viene acquisita inconsciamente da molte altre persone, anche a distanza di spazio e di tempo, diventando patrimonio comune e condiviso.
In campo psicologico, la teoria dei campi morfici offre un substrato scientifico al fenomeno della profezia che si auto-avvera, secondo cui le aspettative di un individuo influiscono su ciò che effettivamente accade nella sua vita e nella vita di altri individui esposti a tali aspettative. In campo psicoanalitico permette una lettura bio-fisica della teoria dell’inconscio collettivo di Carl Gustav Jung, che ipotizza un inconscio universale che contiene gli archetipi, cioè le forme o i simboli condivisi da tutti i popoli di tutte le culture. In campo sistemico-relazionale offre una valida spiegazione del funzionamento delle Costellazioni Familiari di Bert Hellinger e di come talvolta all’interno delle famiglie le persone agiscono riproponendo schemi comportamentali e modalità relazionali che si sono cristallizzate come abitudini familiari ereditate dai propri antenati.
Un solo campo molte possibilità
Le implicazioni collegate alla teoria dei campi morfogenetici sono di portata notevole.
A livello sociale, ad esempio, possiamo dire che se una buona parte dell’umanità raggiunge un certo livello di consapevolezza, questa stessa consapevolezza si estende, per risonanza morfica, a molte altre persone, fino a coinvolgere l’intera popolazione. Lo stesso accade nel caso di emozioni negative come la paura, che se condivise da molte persone, finiscono per influenzare le reazioni emotive di un numero sempre maggiore di persone.
A livello individuale, ogni cosa che facciamo o pensiamo modifica non solo il nostro corpo ma anche il campo morfogenetico attorno a noi, per poi modificare la nostra vita e le nostre circostanze.
Un pensiero, che può essere positivo o negativo, non è altro che una vibrazione elettromagnetica che si proietta all’esterno ed entra in risonanza con vibrazioni simili all’interno del campo morfogenetico, modificandolo e lasciando una traccia nella memoria collettiva; da qui, poi, torna indietro al mittente in una forma potenziata (qualcosa di simile ad un “effetto boomerang”), manifestandosi nella vita e nelle circostanze della persona.
Attraverso il nostro agire e i nostri pensieri, possiamo quindi modificare in senso positivo o negativo noi stessi e le nostre circostanze, influenzando, allo stesso tempo, anche il mondo in cui viviamo.
Riassumendo, i nostri pensieri possono contribuire a cambiare la nostra vita e a rendere il mondo un luogo migliore.
Vittime o artefici del nostro destino? – parte 5ª
Vittime o artefici del nostro destino? – parte 3ª
Mi sono occupato anch’io di questa teoria in questa pagina: https://www.platon.it/teoria/principio-spirito-anima/inesplicabilita-della-vita-e-della-sua-evoluzione/campi-morfogenetici/
Tuttavia, il limite che dobbiamo riconoscerle è che non è dimostrata scientificamente. E’ un’ipotesi che si regge soprattutto sui problemi di ogni tentativo di spiegare il vivente in termini meccanicistici.
Grazie per il commento. E’ vero che la teoria dei campi morfici è un’ipotesi che prova ad avventurarsi là dove l’approccio meccanicistico si ferma e mostra tutti i suoi limiti. Ed è vero anche che per essere scientificamente riconosciuta, dovrebbe essere descrivibile in termini matematici e dovrebbe esser possibile organizzare degli esperimenti in grado di dimostrare che è falsa. Cosa difficile, ritengo, visto che si basa sul presupposto dell’esistenza di qualcosa di immateriale, una sorte di “Anima”, che per definizione sfugge all’indagine “oggettiva”.
Tuttavia, le intuizioni di Sheldrake, se pur accusate di essere un po’ romanzate, trovano sempre maggior riscontro nelle scoperte attuali della fisica quantistica (tra i tanti, ricorderei gli studi di Giuliano Preparata, Tiziano Cantalupi ed Emilio Del Giudice), scienza “vera”, che utilizzando un paradigma innovativo ha scoperto che esiste un campo elettromagnetico invisibile in cui siamo tutti immersi e che veicola le informazioni sotto forma di frequenze che il nostro cervello può recepire. Questo campo elettromagnetico, quindi, è assimilabile al campo morfogenetico di Sheldrake e spiega in maniera “fisica” (elettromagnetica) quello che in Sheldrake aveva invece solo un carattere metafisico.